LIGURIA OUTDOOR

 
 

In città la gente  mangia correndo. Mangia e non sa quello che mangia. Immersa nella natura invece, può allentare la morsa della frenesia quotidiana, per soggiogarsi ad un ritmo più tranquillo, il nostro, che consente pause di piacere per riconquistare la poesia del vero mangiare. Quale terreno migliore per riappropriarsi del gusto se non la Liguria, dove a piedi o in mountain bike, zigzagando per mare e per monti, è possibile fare tappa al rifugio, alla trattoria o all’agriturismo, e scoprire piccole produzioni di grande qualità, scandite dalle stagioni, frutto di una terra variegata, difficile, ma capace di conferire un carattere forte e unico ai suoi piatti tipici.


La saggezza

A più di 1000 metri d’altitudine l’aria è già frizzante prima ancora che sopraggiunga l’inverno; meglio il caldo di un focolare, trattenuto dalle antiche assi che restano solide come il buon legno. Nella calda ed accogliente casa Giobatta si confida. “Eravamo poveri. Allora il benessere non era dettato dai soldi ma nasceva dalla genuinità dei cibi. Oggi si fa presto a parlare di recupero dei sapori: la verità è che quando ero giovane gli alimenti si mangiavano nelle stagioni proprie perché non si potevano conservare a lungo. Erano tipici per necessità e non per scelta”. Chi parla è una persona semplice, schietta, un apicoltore capace di vivere e produrre in armonia con la natura. “Quando ero giovane non avevo ancora la forza per lavorare i campi e fare legna, così davo una mano a mia madre in cucina.

Preparavo il pesto, il condimento per eccellenza dei nostri piatti”. Purché non subisca le contaminazioni aromatiche del mentanolo giusto? “Eh si! Ci vuole il basilico di Rivera, la sola capace di garantire condizioni climatiche ideali per esaltare il profumo inimitabile delle foglioline e il sapore unico del pesto che se né attinge. Il meglio della sua fragranza, il basilico la sprigiona una volta pestato in un mortaio di marmo, dove viene aggiunto uno spicco di aglio, una manciata di pinoli e un po’ di sale grosso, che aiuta l’operazione di sminuzzamento delle foglioline”. Non è finita qui. Remesciando - ossia ruotare raccogliere e pestare - con il pestello si aggiunge poco alla volta il formaggio, prima sardo e poi parmigiano.  E questo l’ho imparato anch’io da mia madre, che però per far prima fa uso del tagliere e della mezzaluna. Alla fine la fatica è tanta, il tempo impiegato pure, ma il gustoso connubio del pesto con trenette, fettuccine, gnocchi, lasagne, corzetti, troffie di Recco o minestroni è una delizia anche per i palati più esigenti. Dimenticavo: il condimento ligure per eccellenza non richiede cottura... e qui viene alla luce la natura parsimoniosa del ligure.


Il primo, per iniziare

I liguri appresero dal mondo islamico, ricco di spezie, l’uso di pestare il basilico per ottenere una “salsa” speciale, il pesto, appunto. Non solo: alla redditizia attività mercantile della Superba, che portò i genovesi a contatto con il mondo orientale, si deve anche l’importazione e la diffusione nel Nord Italia della pasta secca a lunga conservazione; un’invenzione degli arabi che i liguri appresero al meglio, talvolta migliorandola e arricchendola di varianti, ritocchi, peculiarità diverse da località a località. Ad esempio, a Levante, dinanzi al Golfo del Tigullio, le troffiette rappresentano una vera delizia. Il nome deriva da struffugia (strofinare) e descrive il movimento del palmo della mano per ottenerne la caratteristica forma a truciolo. Sono e restano l’abbinamento ideale per il pesto. Una variante è rappresentata dalle troffie “bastarde” fatte con farina di castagne (tipiche della Valle Scrivia), anche queste dal disegno particolare, simile ad una sorta di piccolo cannolo. Nell’ambito della forma e dell’originalità il primato spetta però ai corzetti, realizzati in due versioni: quelli valpolcevereschi hanno la forma a piccolo 8, mentre quelli del Levante sono dischi di pasta che presentano un disegno in rilievo (che peraltro ha il vantaggio di trattenere il sugo del condimento) impresso dalla superficie di uno stampo di legno intagliato. Se invece volete pasteggiare passeggiando, la focaccia non presenta rivali per versatilità, comodità, bontà. Diffusa in tutta la Riviera fin dal Medioevo, la focaccia si ottiene dall’impasto di farina, acqua e lievito di birra, componenti semplici per una delle specialità più note al mondo. Alla ricetta base si possono abbinare altri ingredienti, ottenendo così la focaccia con la cipolla, con la salvia, con le olive, addirittura con acciughe e sardine (stese sulla pasta insieme a olive nere, basilico, pomodori e origano), come palesa la sardenaria, tipica di Sanremo. Spostiamoci ora a Recco: qui la focaccia al formaggio, abbinando versatilità e delizia, può essere consumata a tavola o come pasto frugale, a passeggio come al ristorante, a cena come a colazione. La storia però insegna che la sua progenitrice era nata soprattutto come cibo di emergenza, quando gli anziani, le donne e i bambini si rifugiavano sulle alture per sottrarsi alle razzie dei saraceni. Nei giorni che restava nascosta dai pirati musulmani, la popolazione si garantiva il pasto grazie alla farina, all’olio e alle formaggette trasportate con se durante la fuga nei boschi. Prestando attenzione a non farsi individuare dal mare, accendevano il fuoco per arroventare una lastra di ardesia dove veniva appoggiato uno strato di formaggio sovrapposto a due sfoglie di pasta sottile. Naturalmente nel tempo i panettieri hanno affinato il metodo di preparazione, ma gli ingredienti sono rimasti invariati (farina bianca di grano duro, olio di frantoio e sale), rispecchiando in modo speculare quella grande semplicità che è prerogativa della cucina ligure. D’inverno un’altra vera leccornia è rappresentata dalla farinata, soprattutto nel capoluogo ligure e nella vicina Savona, seppure questa si distingua dalla farinata del Genovesato perché oltre che con i ceci, è fatta pure con farina bianca. La preparazione resta comunque la stessa: all’impasto di ceci o grano, si aggiunge un po’ d’olio, e dopo circa quattro ore si cuoce nel forno a legna dentro a larghi testi. Abbiamo così citato l’olio extravergine di oliva, che qui in Riviera ha una storia antica quanto quella dell’uomo che da sempre, con fatica e cocciutaggine, si spacca la schiena per dissodare e addomesticare una terra, quella ligure, tanto avara quanto generosa.


Sulla rotta dei pastori

Sono piatti semplici quelli d’entroterra ligure, nati dall’indigenza dei secoli scorsi, ma riscoperti oggi sulla scia di prodotti genuini, dalle patate ai latticini, alle erbe spontanee: ingredienti poveri per una cucina ricca di aromi e sapori. Ai piedi dell’Appennino merita la giusta attenzione la patata quarantina bianca della montagna genovese, che alla fine del Settecento venne in aiuto della castagna, pilastro dell’alimentazione di tutto l’entroterra ligure (oggi è adoperata anche in maniera più raffinata ed evoluta in confetture, contorni, ripieni e dolci).

Il tubero è tradizionalmente usato nella preparazione di piatti modesti e genuini, capaci di conservare i sapori di una tradizione culinaria antica, come gli gnocchi e le torte salate in genere. In particolare, la patata quarantina, grazie al suo sapore delicato e non farinoso, rappresenta l’elemento principale della torta salata baciocca. Il risultato migliore si ottiene dalla cottura in testi di ghisa o terracotta, su un fuoco di legna, stendendo l’impasto su un letto di foglie di castagno. Questo piatto gode anche della fragranza del lardo e del formaggio parmigiano, o meglio ancora, restando in tema di tipicità, del sarasso, una ricotta salata e stagionata derivante dal siero del formaggio San Sté, esclusivo della Valle dell’Aveto. All’estremità opposta della Liguria, nell’Imperiese, dal latte della brigasca, che ricordiamo essere una razza caprina rustica e longeva, si ottiene oltre alla ricotta e al burro, un formaggio molle e piccante: il brussu. Siamo sulle pendici delle Alpi Liguri, dove la secolare transumanza ha unito la gente delle valli Argentina e Alta Valle Arroscia, del cuneese e delle valli occitane, sviluppando così una singolare gastronomia etnica, la cosiddetta "cucina bianca", perché fatta di farinacei, latticini, ortaggi poco colorati e prodotti spontanei raccolti camminando sui sentieri della transumanza.


In Liguria chi coltiva un orticello è a metà dell’opera

Lungo i sentieri e le creuze, da percorrere rigorosamente a piedi, ci si appropria dagli odori  emanati dalle profumatissime erbe aromatiche, spontanee, che si ritrovano nei boschi e negli orti in bilico sul mare. Sono le stesse fragranze di terra che si percepiscono seduti a tavola, grazie alla delicata alchimia della cucina ligure che armonizza i prodotti del bosco, dell’orto, del mare. Sono ingredienti semplici, sani, vari. Rosmarino, maggiorana, timo, salvia, borragine, il profumatissimo basilico, erbe domestiche, altre spontanee, insieme al rinomato olio d’oliva dal gusto delicato, onnipresente in Riviera, insaporiscono tutte le pietanze liguri. La torta Pasqualina, clou del pranzo pasquale, è un esempio di essenzialità,  con la sua pasta sfoglia ripiena di carciofi (oppure bietole), spinacci, borragine. Erbette spontanee e ripieno di verdure si trovano anche nei pansotti, simili ai ravioli ma più grandi, da condire con burro e salvia, oppure con il sugo di noci. Sono la variante più economica al raviolo di carne e forse anche qui traspare il carattere parsimonioso del ligure. Beh! A quanto pare le verdure non mancano mai nella dieta ligure.


Una cucina povera di montagna e di mare

Misurati  con parsimonia e sobrietà, uniti con fantasia e creatività, gli ingredienti provenienti dai monti e dal mare, partoriscono piatti unici che fanno da cerniera tra i due principali caratteri del  variegato paesaggio ligure. Tra i piatti di estrazione marinaresca, ma che si lega con i profumi della terra, il più famoso è la capponada, felice unione di acciughe salate, gallette e prodotti dell’orto; non avendo alcuna necessità di cottura, i marinai potevano prepararla sulle barche durante i lunghi periodi di pesca. Alla fine diamo così per scontata la presenza del Golfo che quasi passa inosservata (guai se succede!) la presenza di un ricco patrimonio ittico, dai mitili (sopratutto nello spezzino) ai crostacei, a quel pesce azzurro che nel secolo scorso, una volta sbarcato a Genova, veniva acquistato dai valligiani della Val Maira (Cuneo) che con il loro carretto, lungo la strada del ritorno, di fiera in fiera, di paese in paese, di cascina in cascina, urlavano a squarcia gola, per venderlo, “Anciuìe, anciuìe”! Le acciughe, come anche lo stoccafisso (ma di provenienza scandinava), sono solo alcuni degli alimenti più presenti nel ricettario della costa, specialmente in quello di ponente. Ormai ne siamo consapevoli: la Liguria è terra dalle mille risorse gastronomiche!


Viticoltura eroica, una grande linea di scoperta

Il panorama enologico ligure è multiforme grazie alla molteplicità di condizioni pedoclimatiche che si registrano nell’arco dei suoi 270 chilometri di costa - senza contare nicchie di produzione delle valli interne - che hanno dato vita ad una gamma di vini di buon valore ed ottima qualità, da quelli più celebrati, il “Rossese di Dolceacqua doc” a ponente e il “Cinque Terre doc” all’estremo levante, a quelli meno illustri ma di grande tradizione come l’Ormeasco di Pornassio, il Vermentino o il Pigato. Sono vini modesti nella quantità ma grandi nella qualità,  ognuno con una propria, inimitabile personalità, incorporati in aree Doc più estese, come quelle della “Riviera Ligure di Ponente”, “Riviera dei Fiori”, “Val Polcevera”, “Colline di Levanto”, “Golfo del Tigullio”, “Colli di Luni”, oppure vini ad Indicazione Geografica Tipica, come quella delle “Colline Savonesi”. In Liguria la cultura dell’uva e del vino risale alla notte dei tempi, ma oggi una giovane generazione di vignaioli, sempre più attenta alle tecnologie, che segnano l’evoluzione delle tecniche tradizionali di ieri, sta curando con attenzione ogni aspetto della sua attività, spingendone ancora più in avanti il livello qualitativo dei vini, senza trascurare l’eleganza, l’originalità e il rispetto del territorio.



Testo e Foto © Enrico Bottino

 

PAUSE DI PIACERE

Cerchiamo la natura nel gusto di piatti unici e tipici, indaghiamo l’armonia delle buone cose antiche, godendoci l’atmosfera dell’ambiente circostante.

Pesto / Basilico

Corzetti di Recco

Troffiette

Focaccia al formaggio

Basilico

Olio di oliva

Farinata

Minestrone di verdure

San Sté

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San Sté

TREKKING IN LIGURIA

PAUSE DI PIACERE